Dalle fullonicae alla gualchiera.

Non tutti sanno che, già in epoca romana si usava “follare” la lana.  Ma che cosa vuol dire?

Le fullonicae erano dei laboratori dove veniva infeltrita e rifinita la lana, oltre ad essere anche il luogo dove avveniva il lavaggio dei panni. 

Il processo di follatura consisteva nel battere i panni per rendere il tessuto più robusto ed impermeabile. Inoltre in questa fase il tessuto veniva sgrassato e quindi ripulito dai residui di sporco accumulatosi durante il lavoro di filatura e tessitura e dai residui di grasso animale.

Breve excursus sulla Fullonica di Stephanus 

Tra le rovine di Pompei sono visitabili i resti di una famosa fullonica: la fullonica di Stephanus, i cui scavi risalgono al 1912-1913. 

Non è ancora ben chiaro se Stephanus fosse il proprietario o il gestore di tale edificio; sta di fatto che dopo gli scavi a seguito dell’eruzione del 79 d.C, uno scheletro ( si pensa proprio di Stephanus) venne ritrovato nei pressi dell’ingresso, recante con sé un gruzzolo di monete, del valore complessivo di 1089,5 sesterzi ( pensate…poco più di 10.000 euro). 

L’edificio è strutturato in due piani: il piano inferiore destinato all’attività lavorativa; il piano superiore che oltre ad essere abitato era provvisto di una terrazza, dove all’aria aperta avveniva l’asciugatura dei panni. 

Le vasche qui rinvenute servivano appunto per il lavaggio ed il pestaggio dei panni. Dei gradini permettavano ai lavandai, ovvero ai fullones, di salirvici. 

Quasi tutti schiavi che lavoravano per tale Stephanus, dovevano calpestare per ore tessuti e panni in acqua e soda (il sapone non esisteva ancora) e in un liquido che doveva essere alcalino, dunque urine di animale e umane. 

Pecunia non olet. 

Fuori le strade delle fullonicae venivano poste delle anfore per raccogliere l’urina che serviva per i tessuti. Altrimenti veniva raccolta in appositi orinatoi chiamati “vespasiani”, per via dell’imperatore che li aveva imposti. 

Dall’età di Vespasiano in poi vennero poste delle tasse sull’urina che veniva utilizzata a scopo industriale. 

La stessa urina dei cammelli, considerata pregiata, veniva importata. 

Quando Tito rimproverò il padre Vespasiano per aver tassato i tintori che avevano raccolto l’urina nelle latrine, l’imperatore rispose con la celebre frase: Pecunia non olet

Di base l’urina serviva per indurire i tessuti. Questi ultimi venivano poi lavorati con la creta, o comunque con dell’argilla particolare più comunemente conosciuta come “terra da follone”, con lo scopo di ripulitura del tessuto dai grassi. Venivano battuti nuovamente per infeltrire la lana, poi rilavati per restringere il tessuto e quindi cardati con spine di istrici, per districare le fibre. 

La gualchiera.

Chiaramente, tutto ciò che veniva fatto manualmente all’epoca dei romani venne sostituito, in epoca preindustriale, da un macchinario alimentato ad energia idrica, chiamato gualchiera

 L’etimologia del termine è di probabile origine francese gauchier o germanica walkan, considerando che è di probabile influenza longobarda. In entrambi i casi il termine indica lo spostamento da un luogo ad un altro.

Il procedimento di lavorazione, per lo più della lana, non è molto dissimile a quello delle fullonicae, con la chiara differenza che il lavoro umano è sostituto dal lavoro di magli, ovvero grossi martelli di legno

spinti da una ruota (più spesso verticale) alimentata da un corso d’acqua (gora). Tali magli, alternandosi, andavano a battere su un paracolpi nel quale venivano posti i panni , costantemente bagnati d’acqua calda.

Chiaramente, al posto dell’urina di cui abbiamo parlato, venivano spruzzate soluzioni alcaline. 

Questo tessuto di lana grezzo che alla fine ne fuoriusciva, veniva chiamato orbace, dall’arabo al bazz, che vuol dire stoffa, tela. Era caratterizzata dall’irregolarità del filato ed era molto prodotto in Sardegna, con la quale venivano create queste popolari mantelle col cappuccio (utilizzate anche come coperte per il freddo) di solito in tinta scura. Era il cosiddetto cappullaru, probabilmente dal latino scapulae, considerato che veniva appunto poggiato sulle spalle. 

Vi lascio qui con uno stralcio del “canto dell’amore” di Carducci, in cui riecheggia il rumore emesso dalla gualchiera:

Pe’ casolari al sol lieti fumanti

Fra stridor di mulini e di gualchiere,

Sale un cantico solo in mille canti,

Un inno in voce di mille preghiere […]

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